JSB – Come Bach

 

 Essere Come Bach

 

 “Come Bach”

al Teatro Coppola di Catania

Recensire uno spettacolo teatrale…roba seria, da professionisti del settore. Allora, perché chiedere agli spettatori? Si possono prendere cantonate e si può passare per saccenti, oltre che per ignoranti e incompetenti. Rischia chi recensisce  e rischia pure chi è recensito. Scusate, ma perché non rivolgersi agli addetti ai lavori? Sarebbe più proficuo anche in termini di immagine per un teatro occupato, come il “Coppola”, no?Un buon battage pubblicitario, gli inviti mandati tempestivamente  alle persone giuste, nei contesti giusti, qualche bella promessa di visibilità, e… lesjeuxsontfaits! Più di qualche giornalista e più di un esperto arriverebbero di sicuro. Come dite? La pubblicità è stata fatta nei modi consueti e accessibili a tutti? Chi voleva, sapeva. Che dite? Al “Coppola” si viene spontaneamente, per libera scelta, per senso di appartenenza a una cittadinanza ideale e concretamente impegnata? In fondo, dite voi, quasi nessuno degli “occupanti” aveva titolo, un anno fa, per forzare un catenaccio, mettere mano alle pulizie straordinarie, rimuovere gatti e ratti incartapecoriti, impastare cemento, passare fili di luce, arredare, montare e smontare apparecchiature.Progettare un sogno destinato a tutti, insomma… Una trasgressione feconda, a quanto pare. Una supplenza giustificata da una titolarità permanente. Capìto, mi avete convinto. Se giornalisti tra il pubblico non ce n’è, noi non scriveremo in vece loro,non saremo supplenti di nessuno:semplicemente perché, per il “Teatro Coppola, Teatro dei Cittadini”,non dovremo che interpretare da titolari il ruolo di noi stessi: cittadini.

Un pochino,però, mi rincresce per Cristiano Nocera, l’attore di “Lavoro Nero Teatro”, in questa occasione anche autore e regista, e i tre magnifici musicisti, che in coproduzione con la “Coppola Theater Production” (e, cioè, con tutti quelli che ci credono e vi contribuiscono in ogni modo…)il 29 e 30 dicembre hannomesso in scena“Come Bach”. Dovrete accontentarvi, amici, delle parole di un saccente-incompetente-ignorante, mentre il vostro spettacolo meriterebbedavvero il più grande e qualificato rilievo. E lo avrà, ne sono certo, malgrado i maldestri tentativi di recensione!Tuttavia, a testimonianzadella mia serietà nei confronti degli artisti e del “Coppola”, potreichiamare in causa il posteggiatore di Piazza Duca di Genova. Durante la manovra versol’unico posto disponibile, lo sento chiacchierare col suo giovane apprendista. “Cchicc’è a stasira? tutti sti chistiani…” chiede il ragazzo. “Sarà ppiquacchisirata o TiatruCoppula” risponde l’altro. “Picchì? cc’è‘n tiatru?”. “Propriu‘n tiatru…ntetiatri si pavau bigliettuppiviririi spittaculi a ppiddaveru. Ccà, dici ca non si pavanentippitràsiri…”. Completato il posteggio, nonostanteio, Paola e Agnese siamoin ritardo, mi avventuro in spiegazioni, delucidazioni e semidissertazioni sul valore civile del “Coppola” e sull’indubbia qualità dei tantissimispettacoli programmati e realizzati nel corso di un anno di occupazione. Devo essere abbastanza convincente, però, visto che i due posteggiatori (forse per liquidarmi o forse perché “il cliente ha sempre ragione”…) accettano frettolosamente persino il difficile dogma che la risurrezione del più antico teatro di Catania possa comportare un arricchimento per Catania stessa,non esclusi gli operatori del Posteggio Abusivo.Ma basta adesso coi preamboli, e…“Come Bach”, torniamo al principio e ripartiamo da Bach. Faccio appena in tempo a chiedermi in cosa potremmo imitare un genio assoluto della musica, quando mi accorgo che neanche dentro il “Coppola”c’è più posto: tutto esaurito, caspita! Quasi quasi mi manca il posteggiatore… Per di più è appena finita la presentazione di Annuzza (c.v.d., manco a dirlo, ce la siamo persa!).Sulla sala è già calata un’atmosfera di ascolto profondo e assorto. Cerchiamo di sistemarci in un angolo, badando di non coprire la visuale a chi era già seduto da un pezzo.Meno male checi pensa qualcuno (grazie, Melissa!) a rimediare un paio di sedie. Lo spazio sul palcoscenico è distribuito così: alla destra rispetto al pubblico, il piedistallo con la statua marmorea (in carne e ossa, però) di Johan Sebastian Bach, più o meno come si vede a Lipsia. Al centro, in posizione avanzata, JohanneMaitre, con oboe e flauti; dietro le sue spalle, Enrico Sorbello al violoncello, e, a sinistra, il clavicembalo di Enrico Dibennardo. Sparse per terra,foglie secche d’autunno, proprio come sulla piazza, davanti al monumento del musicista tedesco.La statua si anima e parla, raccontando i primi trentacinque anni di vita di Bach: l’iniziale condizione di figlio di un semplice “organista municipale”, destinato, pure lui, ad un futuro da organista municipale; il sogno di esplorare la musica in ogni forma e direzione, e diventare non solo il miglior organista possibile, ma “Kappelmeister” addirittura!E, ancora, l’amore per la moglie e per i figli, il dolore per la loro perdita, le umiliazioni patite in un ambiente restìo ai cambiamenti e ottuso nei confronti del vero ed eccezionale talento. Infine l’ambizione di disporre di un’orchestra completa, perseguendo l’ideale della “musica concertante”. Ma, sopra ogni altra cosa, l’intuizione delle infinite possibilità della musica, “che è così grande, così grande” da esigere una dedizione totale in termini di energie e di tempo. Man mano che la statua si racconta, scende dal piedistallo e si spoglia: prima della parrucca, poi delle scarpe, poi di tutti gli indumenti fino a restare in candida calzamaglia, come liberandosi delle convenzioni e dei vincoli imposti dalla società e dal potere e recuperando una condizione originaria, battesimale. Johan Sebastian Bach torna Sebastian, non più freddo monumento funebre di sé stesso, ma persona. Come noi.

L’affabulazione, sintetica e brillante, equilibrata e scevra da espressioni eccessive o caricaturali, viene dipanatada Cristianocon perfetta dizione e timbro vocale chiarissimo. Branidello stesso Bach e di Vivaldi,eseguiti dai tre musicisti in modo magistrale, intervallano il raccontocome ripresa, sottolineatura, rinforzo ed espansione del bel testo recitato. JohanneMaitre, che delle musiche ha curato la scelta e l’arrangiamento, interviene anche in veste di attrice, interpretando in maniera deliziosa e credibile il ruolo della moglie del protagonista. Testo, musica e interpretazione producono un effetto avvolgente. Una magia.Mentre ascolto, non so resistere alla tentazione di straniarmi,sia pure per un attimo, dall’azione scenica e posare uno sguardo sull’intera platea. Che incredibile, splendido raccoglimento! Tante persone letteralmente incantate, come se ci trovassimo, tutti, immersi in un sogno. Mi sento dentro una Cattedrale. Dopo circa un’ora e trenta minuti,gli applausi raggiungono quasi la standing ovation. A luci accese, mentre gli altri spettatori vanno a congratularsi, mi sorprendo nel ritrovare il vecchio capannonedel “Coppola”sempre meno capannone e sempre più teatro-cantiere-laboratorio. Le file di ombrelli sospesi al soffitto dalla parte del manico, rossi come Stelle di Natale, non stanno più a denunciare che il tetto “fa acqua”, ma squillano come un gioioso invito a nuotare nell’aria e a raggiungerli. Tutto acquista lievità. Gli archi della marina sono qui di fronte, a due passi e, a guardare bene, anche la copertura di questo teatro ricorda una sequenza di archi in cemento nudo e crudo. Forse anche noi che lo frequentiamo, abbiamo un che di provvisorio. E non ci dispiace. Forse pure a noi, come ai barboni, “ni finisci sutta l’archi da marina”. Ma non possiamo non tornare per la replica di domani (anche perché, stavolta, caschi il mondo, dobbiamo arrivare in tempo per la presentazione!). E la magia, puntualmente, si rinnova la domenica sera.

Dopo tanti giorni,ancora cipenso e mi chiedo in che famoso teatro europeo abbiamo assistito a quel tale spettacolo su Bach, tornando indietro, a partire da Bach… Ambuurrrgoo! Ma no, al “Cooppolaaa”!eravamo proprio al “Coppola”. E senza pavàribigliettu…

L’immagine che mi resta dentro è una visione onirica:bravo, Cristiano!brava, Johanne!bravo, Enrico!bravo, Enrico! bravi, il “Coppola”!

bravo, Sebastian! bravo, Sebastian… Bravo!

Nino Bellia

 

 

“Come Bach”, il Teatro Coppola porta il genio della musica classica alla gente

11.10.2012   “Mola Mola”

Portare in musica e parole i primi trentacinque anni di Johann Sebastian Bach, portarlo alla gente, alle persone per le persone, grazie all’aiuto delle stesse, in un’idea che mi ricorda molto l’essenza del teatro popolare, del popolo per il popolo, un proposito scevro dalle connotazioni politiche e ideologiche (Che mal digerisco), una suggestione che spoglia l’idea del teatro da quell’aurea di irraggiungibilità e spocchia tipica di chi col denaro è convinto di veicolare la cultura ad appannaggio di pochi, quei pochi non più eletti ma spesso annoiati e convinti depositari di una verità stantia, un teatro che si sostiene grazie alla passione, alla tenacia che fa risaltare i pregi e smussare i difetti, dove l’improvvisazione riesce a piegare l’emozione, dove il pubblico partecipa non col denaro, o non solo con quello, ma con le loro competenze, con i loro oggetti, non più con solo i loro applausi annoiati, claque improvvisata, ma con la curiosità e lo spirito di sacrificio. Cristiano Nocera e Johanne Maitre, del Lavoro Nero Teatro insieme al Teatro Coppola di Catania (ricorderete quest’ultimo per una apparizione spontanea di Manuel Agnelli poco tempo addietro per evitarne la chiusura) si fanno portavoce di quest’idea rivoluzionaria, non tanto per la novità, ma per gli intenti così distanti da quanto ci propinano da qualche anno a questa parte teatranti, musicisti e burattini.

L’opera, ancora in costante aggiornamento, era al debutto, a quanto pare: potevi scorgere l’emozione nella loro performance anche lì dove l’esecuzione era perfetta, e finivi per innamorartene. Cristiano Nocera, con la sua voce, a dir la verità parecchio bella e calda, dava vita non solo al Bach bambino e via via ragazzo e adulto, ma anche a tutti i personaggi di contorno, aiutandosi col leggio perché imparare una parte così impegnativa in soli dieci giorni è impossibile, sì, perché tutto lo spettacolo è stato allestito in dieci giorni e nonostante ciò la qualità che trasudava era più che soddisfacente. Lo stesso testo, per ammissione di Nocera e scritto di suo pugno divincolandosi fra scelte di fantasia e ricostruzioni cronologicamente accertate, è alle fase iniziali e, come tutta l’opera, si amplierà e crescerà col tempo. A inframmezzare la vita del giovane JSB ci pensava la musica di quest’ultimo, eseguita da Johanne Maitre, che si districava fra oboe e flauti e dal maestro Enrico Dibennardo al clavicembalo, immergendo i presenti in un’atmosfera intima e maestosa in egual misura, tanto da strappare applausi sinceri alla fine di molti pezzi. Applausi che scrosciarono altrettanto sinceri alla fine, mentre i provati tre si dimostravano ulteriormente aperti, spontanei e, perché no, scherzosi e auto ironici nei confronti di chi ha avuto curiosità e animo d’assistere, supportarlo e confortarli. Nota di merito per il maestro Dibennardo, il quale, nonostante una luce mal posizionata in faccia durante la scena, stoicamente ha consumato braccia e dita sul clavicembalo mostrandosi parecchio provato ed emozionato alla fine, ma senza interrompersi o mostrando numeri d’alta presunzione, roba che certi presunti geni della musica nostrana dovrebbero prendere ad esempio. L’ammirevole trio, a conclusione, si fermò ben volentieri per accogliere chi, ulteriormente stimolato e interessato, avesse domande o curiosità da consumare, dimostrando, una volta di più, come i piedistalli rendono solo più goffi e marmorei, ma non di certo più vivi.

Conigliastro

Bach. Il come e l’altrove (di Alberto G. Biuso)

21 settembre 2012 – Teatro Coppola – Catania

JSB – Come Bach (Primo studio) di Lavoro Nero Teatro

«Immaginate una pozza di neve sciolta…», così comincia questa narrazione della vita di JSB. Una pozza d’acqua vicino alla quale un bambino di dieci anni, da poco rimasto orfano, attende. E poi la formazione da autodidatta, i viaggi a piedi per centinaia di chilometri tra le diverse regioni della Germania, i primi incarichi, i conflitti, gli amori. L’amore assoluto è per Frau Musik, per la Signora Musica. Ma forse neppure Johann Sebastian Bach si rendeva conto di che cosa la musica avrebbe fatto per lui e lui per la musica. Bach non è infatti un musicista, un compositore, un artista, per quanto eccelso. Bach è la musica. A partire da lui tutto è cambiato, il contrappunto è diventato la regola del pulsare e dello stare; la concertazione ha assunto arditezze prima impensabili; a essere “ben temperata” è stata la vita di chi nelle sue note disumane si immerge. Disumane perché probabilmente Bach è stato un’entità venuta dall’altrove a insegnarci che cosa possano fare il silenzio e i suoni tra loro mescolati. Ma Bach è stato anche un umano -uno di quegli umani che da soli giustificano l’esistenza della specie- e questo spettacolo racconta la sua calda e spesso difficile umanità. Un work in progress come lo ha definito Cristiano Nocera, autore e voce recitante, che sulla base della documentazione disponibile sta costruendo e ricostruendo gli anni della vita di Bach. E lo sta facendo, con rigore e leggerezza, per quel Teatro Coppola che da luogo abbandonato e dismesso dagli immondi amministratori di Catania è diventato uno dei centri culturali più vivaci della città.
La voce bella e calda di Nocera si è alternata alle note eseguite dai musicisti. E Bach è tornato tra noi. Noi «come Bach».