Critique

Publié le

« Come Bach », il Teatro Coppola porta il genio della musica classica alla gente.

Portare in musica e parole i primi trentacinque anni di Johann Sebastian Bach, portarlo alla gente, alle persone per le persone, grazie all’aiuto delle stesse, in un’idea che mi ricorda molto l’essenza del teatro popolare, del popolo per il popolo, un proposito scevro dalle connotazioni politiche e ideologiche (Che mal digerisco), una suggestione che spoglia l’idea del teatro da quell’aurea di irraggiungibilità e spocchia tipica di chi col denaro è convinto di veicolare la cultura ad appannaggio di pochi, quei pochi non più eletti ma spesso annoiati e convinti depositari di una verità stantia, un teatro che si sostiene grazie alla passione, alla tenacia che fa risaltare i pregi e smussare i difetti, dove l’improvvisazione riesce a piegare l’emozione, dove il pubblico partecipa non col denaro, o non solo con quello, ma con le loro competenze, con i loro oggetti, non più con solo i loro applausi annoiati, claque improvvisata, ma con la curiosità e lo spirito di sacrificio. Cristiano Nocera e Johanne Maitre, del Lavoro Nero Teatro insieme al Teatro Coppola di Catania (ricorderete quest’ultimo per una apparizione spontanea di Manuel Agnelli poco tempo addietro per evitarne la chiusura) si fanno portavoce di quest’idea rivoluzionaria, non tanto per la novità, ma per gli intenti così distanti da quanto ci propinano da qualche anno a questa parte teatranti, musicisti e burattini.

L’opera, ancora in costante aggiornamento, era al debutto, a quanto pare: potevi scorgere l’emozione nella loro performance anche lì dove l’esecuzione era perfetta, e finivi per innamorartene. Cristiano Nocera, con la sua voce, a dir la verità parecchio bella e calda, dava vita non solo al Bach bambino e via via ragazzo e adulto, ma anche a tutti i personaggi di contorno, aiutandosi col leggio perché imparare una parte così impegnativa in soli dieci giorni è impossibile, sì, perché tutto lo spettacolo è stato allestito in dieci giorni e nonostante ciò la qualità che trasudava era più che soddisfacente. Lo stesso testo, per ammissione di Nocera e scritto di suo pugno divincolandosi fra scelte di fantasia e ricostruzioni cronologicamente accertate, è alle fase iniziali e, come tutta l’opera, si amplierà e crescerà col tempo. A inframmezzare la vita del giovane JSB ci pensava la musica di quest’ultimo, eseguita da Johanne Maitre, che si districava fra oboe e flauti e dal maestro Enrico Dibennardo al clavicembalo, immergendo i presenti in un’atmosfera intima e maestosa in egual misura, tanto da strappare applausi sinceri alla fine di molti pezzi. Applausi che scrosciarono altrettanto sinceri alla fine, mentre i provati tre si dimostravano ulteriormente aperti, spontanei e, perché no, scherzosi e auto ironici nei confronti di chi ha avuto curiosità e animo d’assistere, supportarlo e confortarli. Nota di merito per il maestro Dibennardo, il quale, nonostante una luce mal posizionata in faccia durante la scena, stoicamente ha consumato braccia e dita sul clavicembalo mostrandosi parecchio provato ed emozionato alla fine, ma senza interrompersi o mostrando numeri d’alta presunzione, roba che certi presunti geni della musica nostrana dovrebbero prendere ad esempio. L’ammirevole trio, a conclusione, si fermò ben volentieri per accogliere chi, ulteriormente stimolato e interessato, avesse domande o curiosità da consumare, dimostrando, una volta di più, come i piedistalli rendono solo più goffi e marmorei, ma non di certo più vivi.

Conigliastro